Noi ci presentiamo alla vita.
Cominciamo le nostre conversazioni con un nome — preferibilmente bello.
Un punto geografico. Il lavoro. Gli studi. Gli hobby.
Le nostre abitudini, lo stile, perfino la pettinatura: tutto ci pone al mondo come abbiamo attentamente deciso.
Ci portiamo addosso un piccolo curriculum vitae che proponiamo a chi ci incontra.
Eppure, io penso che forse sia il contrario.
Che sia la vita a presentare noi a noi stessi.
Lo si può chiamare destino, ma anche no.
Io lo chiamerei semplicemente: l’accumulo dei fatti e degli avvenimenti.
Quelle cose che accadono — a volte scelte, a volte subite — e che ci mostrano chi siamo davvero.
La vita, su questo, gioca con fantasia.
E non ti lascia molta scelta… anche se ogni tanto ti fa credere di averla.
Sono le vicende, gli imprevisti, perfino qualche tragedia qua e là,
a svelarti chi sei.
E lì, a poco servono nomi e titoli, provenienze, perfino la buona volontà.
Tutte le nostre mancanze e disfatte hanno contribuito a costruire ciò che — per il momento — siamo.
Perché sì, tutto potrebbe ancora cambiare.
Le persone che abbiamo incontrato — o che non abbiamo mai incontrato.
Le buone e le cattive decisioni.
Ogni deviazione, ogni scelta rimandata, ogni porta chiusa:
tutto ci presenta, puntualmente, chi siamo davvero.
E allora?
Per presentarsi bisognerebbe forse raccontare tutto?
Ogni dettaglio, ogni evento, ogni ferita?
Non basterebbe.
E comunque… non basterebbe il tempo.
Allora, quanto più ci ostiniamo presentarci al mondo, la vita si permette a rivoltare le cose per presentarci a noi come vuole.
